Referendum, le ragioni del mio NO

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Intervista Audio del 25 novembre 2016 a radioarticolo1.it

Le ragioni del mio No

Ci siamo. Tra poco finalmente finisce una campagna referendaria insensata e lunghissima. Tra poco vedremo l’esito del voto e il dato della partecipazione al voto.

Provo a riassumere qui il pensiero e la motivazione a cui intendo restare fedele. Intanto si vota sul quesito referendario e non può che essere così. Ogni altra motivazione è piena di conseguenze che portano a esiti paradossali e imbarazzanti. Su questo Napolitano ha ragione da vendere. Il paradosso più evidente è che se si votasse basandoci su altre ragioni la riforma della Costituzione, tema serissimo, diventerebbe solo un pretesto e il referendum un inganno democratico. 

Intendo votare no per due motivi, che non attengono ai temi e ai punti di partenza della revisione costituzionale, penso per esempio al superamento del bicameralismo perfetto e alla questione del Titolo V. Quelli li condivido. Penso invece alle forme che questa revisione della Costituzione ha alla fine concretamente adottato. Condivisibili i titoli dei temi, non lo svolgimento. 

Il primo punto riguarda la soluzione data al nuovo Senato, il secondo alla composizione e rappresentatività della Camera dei deputati così come viene delineata dalla nuova legge elettorale vigente, l’Italicum. 

Sul Senato si è fatto un compromesso pieno di problemi e di contraddizioni. Si poteva seguire uno dei due modelli esistenti in Europa, nei paesi a noi più vicini, oppure superarlo del tutto. Si è scelta la strada di un Senato che non si capisce cosa realmente rappresenti, composto da consiglieri regionali e sindaci scelti da meno di mille elettori. Questo porta ad una legittimazione democratica debolissima di un organo che, nonostante quel che si dice un po’ superficialmente, nella riforma della Costituzione in realtà mantiene comunque poteri e funzioni importanti di rango costituzionale. Anche il meritorio tentativo fatto dalla minoranza PD di ancorarne la rappresentatività al voto dei cittadini non è stato accolto nel testo della riforma, dunque non è nella Costituzione, e nel testo restano aperti problemi per quanto riguarda la scelta dei sindaci. La conseguenza è che avremmo un Senato con tre modalità di scelta dei suoi componenti, il che è e resta un pasticcio. 

Il secondo punto riguarda il rapporto tra riforma elettorale, rappresentatività e autonomia della Camera. Chi sostiene che tale rapporto non esista dovrebbe, a parte il buon senso, vedere quello che su questo tema ebbe a dire Matteo Renzi nella primavera 2014 e ciò che sistematicamente ha teorizzato il professor  D’Alimonte, il padre della riforma elettorale. Con il ballottaggio previsto dall’Italicum si compie una forzatura nella rappresentanza democratica della Camera e si dà il premio di maggioranza alla forza politica che potrebbe non essere quella più votata al primo turno. Vi è dunque un’alterazione della logica democratica, evidente e senza pari in Europa, oltre al fatto che la maggioranza dei parlamentari sarebbe scelta dai partiti e non dagli elettori. 

Renzi si è dichiarato disposto a cambiare l’Italicum e questo è un bene. Ma non ha ancora chiarito il suo pensiero sul punto chiave: non stanno assieme il superamento del ballottaggio e il principio di volere sapere comunque il nome del vincitore la sera stessa delle elezioni. Se c’è il superamento del primo, non c’è il secondo e viceversa. Inoltre, va detto che in un sistema istituzionale parlamentare, come è stato disegnato nella Costituzione vigente, a differenza del voto sui sindaci (che serve a scegliere chi governa in città), il voto serve a comporre la rappresentanza e a indicare una maggioranza parlamentare anche attraverso un premio di maggioranza, non a scegliere e a sapere con certezza chi sarà il capo del governo. Se si vuole ottenere quest’ultimo obiettivo bisogna rivedere la forma di governo prevista dalla Costituzione e l’intero sistema istituzionale italiano. Insomma, il nostro sistema è come quello tedesco, non come quello francese.

Alcune ultime considerazioni. Per il no sono schierati tutti i presidenti che abbiamo avuto alla Corte costituzionale. Sono tutti conservatori e incapaci di guardare al nuovo? E come mai sono d’accordo su no, pur essendo tra di loro diversi per cultura politica e sensibilità culturale? Credo che dovremmo ascoltarne le ragioni. 

Infine, avevamo come Pd promesso a noi stessi di non cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza dopo gli esiti della revisione fatta da noi nel 2001 e quella fatta da Berlusconi nel 2006. Così invece è avvenuto. E purtroppo, anche per responsabilità del centrodestra e del movimento di Grillo, questo testo divide.

La Costituzione che avremo dopo il voto e dopo una campagna referendaria come questa sarà vissuta come propria solo da una parte. Non sono per niente convinto che questo sia ciò di cui il paese ha bisogno, soprattutto se si pensa che si debba cambiare in profondità il paese senza cadere sotto il primato dei tanti populismi che attraversano l’Italia e l’Europa.

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