Regolare lo Smart Working per garantire i lavoratori

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Intervista rilasciata a La Stampa il 26 marzo 2021

Connessi sempre e connessi multipli con la Dad dei figli. Sarà questo il futuro di molte famiglie? «Non si può rispondere a questa domanda, non lo sappiamo. Sappiamo che il “lavoro agile” o smart working riguardava 300 mila persone prima della pandemia, ora quel numero si deve moltiplicare per 10 o 12 volte. La maggior parte dei quali lavora nel Nord Ovest».

Guglielmo Epifani, deputato Leu in Commissione Lavoro, parlerà questa sera alle 21 del nuovo mondo dell’occupazione e degli scenari futuri per chi è «in smart» con Federico Fornaro, capo gruppo Leu alla Camera, Elisa Camussa biotecnologa in smart working, Mauro Sartor ingegnere informatico e Davive De Faveri, giuslavorista. Proprio sui diritti dei lavoratori molti sindacalisti, e lei è stato per un decennio segretario della Cgil, si interrogano.

«Le domande a cui rispondere sono quali mezzi il lavoratore deve usare: i propri o dell’azienda? E ancora sul salario accessorio: pensiamo solo ai buoni pasto alle mense aziendali. Il lavoro da casa ora è frutto di una costrizione, il vantaggio è che si circola meno e si sta più protetti in casa, ma si dovrà capire come regolarlo».

Le aziende come stanno reagendo?

«Ci sono aziende che per il loro core business vedono il futuro con i dipendenti da remoto, altre che stanno ricorrendo a questo sistema ma per la loro cultura d’impresa, per la loro produttività, vogliono tornare in presenza. Sono tanti i fattori che condizioneranno il lavoro dopo la pandemia».

I problemi sollevati da dipendenti in smart e sindacalisti riguardano anche, e forse soprattutto, l’orario di lavoro, il diritto alla disconessione.

«Nelle nostre ricerche quello che tutti i dipendenti dicono è che quando lavori da casa l’orario di lavoro e quello di vita si mescolano. In ufficio entro alle 8 ed esco alle 17. Da casa non si sa più quando si finisce quindi il problema degli straordinari, e poi le pause. Il lavoratore ha diritto alla pausa: in ufficio c’è quella per il caffè, ma casa? In molte aziende private si sono già stipulati accordi che tengono conto di questo.
Nel settore pubblico il ministro Brunetta ha dichiarato di voler affrontare ilproblema».

Il lavoro da remoto per gli ambientalisti è positivo perché riduce le auto in città, ma crea spazi vuoti. Interi quartieri dedicati al settore produttivo sono ora quasi deserti. Cosa ne faremo?

«È un fenomeno che si vede nelle grandi città, e inizia ad essere un problema per altre attività come bar e ristoranti che vivevano dei pranzi d’ufficio. Ci sarà anche questo da ripensare per la vita dei quartieri in molte realtà, persino in certe zone di Roma adesso non c’è più nessuno anche quando i bar sono aperti».

Il cambio dei rapporti di lavoro sarà una rivoluzione globale?

«Cambiano le abitudini del lavoro e di conseguenza anche quelle di vita. Certo lo stare a
casa porta una grande vantaggio per l’ambiente ma manca il rapporto fisico e relazionale tra i colleghi. Credo che la vera questione sia questa: per molte aziende lo stare assieme avere una relazione fisica arricchisce e aumenta la produttività. E il rapporto diretto secondo me porta più qualità, poi dipende da lavoro e lavoro. Alcune aziende lavorano per obiettivi e altre per il mercato. Dipenderà molto dalla cultura di impresa. Il nodo vero è il rapporto con il tempo».

Cioè?

«Perché lavorare in azienda insieme ad altri richiede un’organizzazione del tempo più precisa, per obiettivi, implica che puoi gestire il tempo e sei gestito dal tempo. Con lo smart working diventa molto più difficile misurare il tempo del lavoro: le pause, gli straordinari. Si deve rivedere un’altra cosa fondamentale»

Quale?

«Prima ancora dello straordinario occorre ragionare sulla paga oraria. Perché se sei a casa non sai più quante ore lavori. In un contratto di lavoro sai quante sono, hai una paga che corrisponde a un orario settimanale. Ma a casa? I cambiamenti sono grandi: sei tu in
funzione della macchina e non il contrario, è in dubbio la tua possibilità di scelta».

E poi le connessioni?

«Ecco, se abitiamo in un posto dove il segnale arriva male? Come affronti questo? La tecnologia richiede la parità di accesso. C’è il rischio che i lavoratori si dividano in due macrosezioni: i connessi e i non connessi. E il problema relazionale: manca il rapporto uno a uno, manca un pezzo forte di umanità».