Intervista rilasciata Umberto De Giovannangeli su Il Riformista
Se c’è una questione epocale per la nostra democrazia, essa non sta nel numero dei parlamentari ma nella crisi dei partiti e dei corpi intermedi, dalla quale si può uscire solo ripensando radicalmente le forme, e la vita interna, della rappresentanza organizzata.
Qual è la vera posta in gioco nel referendum sul taglio dei parlamentari?
Non c’è dubbio che la riforma che oggi va a referendum sia una spinta populista. E’ la caratteristica che il Movimento 5 Stelle ha voluto dare al tema, che nella discussione, anche costituzionale, c’è sempre stato, della riduzione dei parlamentari. Detto questo, aggiungo subito che faccio fatica ad assumere attorno a questo tema referendario il valore epocale che sento e avverto in qualche dichiarazione e intervista. Nel senso che lo sguardo con grande distacco, riconoscendo la natura populista della partenza, ma riconosco, però, che il tema è sempre stato presente nella discussione, anche a sinistra. Non possiamo far finta che il tema della riduzione del numero dei parlamentari sia un tema inventato. Ma c’è soprattutto una considerazione che vedo i difensori dei numeri di oggi non fanno…
Di quale considerazione si tratta?
E’ che quando nacquero quei numeri nell’Italia repubblicana, l’unica forma di presenza legislativa era il Parlamento. Poi è subentrata l’attuazione della riforma costituzionale in materia regionale, nel bene o nel male. La questione ora non sono i limiti che ha avuto il titolo quinto, a suo tempo come Cgil esprimemmo riserve in merito al alcune scelte fatte, ma non vi è dubbio che una parte dei poteri, anche legislativi, sono stati trasferiti alle Regioni, alle assemblee legislative regionali che prima non c’erano. E contemporaneamente, il Parlamento europeo, via via, ha avuto poteri superiori a quelli che aveva inizialmente. In questa realtà, ci sta che si ragioni sui numeri della rappresentanza parlamentare italiana. Il mio punto di vista è un altro: è che forse quei numeri andavano ponderati meglio e contemporaneamente alcune forme, che negli emendamenti non fu possibile fare, se non parzialmente, recuperati tutti gli accordi politici, vanno fatte. Io penso, ad esempio, che con 200 parlamentari il Senato possa far fatica a lavorare bene e contemporaneamente se rimane la base regionale di elezione, è chiaro che avrai Regione con una rappresentanza molto, molto limitata al Senato, e la stessa cosa puoi averla nelle grandi Regioni relativamente ai territori più marginali. Da questo punto di vista, non ho un obiezione al taglio, però il taglio forse andava ponderato meglio e contemporaneamente vanno introdotti due, o tre correttivi, di cui peraltro si sta già discutendo in commissione tra le forze politiche, per rimediare a qualcuno degli eccessi di riduzione di rappresentatività che numeri troppo ristretti possono dare, soprattutto per quanto riguarda il Senato. Per questo non vivo il referendum come un redde rationem, sono anzi portato a dargli meno peso. Avrei un atteggiamento diverso da quello che vedo: si sta caricando questo referendum di significati che a me onestamente sembrano eccessivi, fermo restando il punto di partenza che ho detto, e cioè che non mi sfugge come l’origine di questo referendum sia legata ad una ventata populista, ma dire che con questi numeri si attacca la funzione del Parlamento mi pare francamente un eccesso, se ne attacca in parte la rappresentatività, per le cose che ho detto in precedenza, ma non mi sembra questa cosa così epocale. Quindi lo guardo con grande distacco, poi naturalmente una persona normale dice: ma era questo il primo problema da cui partire? Io direi di no, basta pensare alla questione che stiamo discutendo sui poteri centrali e su quelli regionali, in particolare sulla sanità, forse qualche correttivo andava pensato anche su questa sfera, ci sono altre materie su cui mettere mano… ma da qui a farlo diventare un tema epocale, onestamente no.
In un’intervista a questo giornale, Mario Tronti non ha evocato una dimensione “epocale” del referendum, tuttavia ha sottolineato con forza che sullo sfondo resta irrisolto conflitto tra politica e antipolica.
Dico che non bisogna dargli un valore epocale anche per evitare di cadere nel ridicolo, quando ci si accorgerà che a votare al referendum ci saranno andate anche poche persone. A quel punto se fosse un valore epocale e andassero a votare poche persone delle due l’una: o coloro che hanno pensato ad un appuntamento epocale si sono talmente sbagliati oppure i cittadini non capiscono niente. Sarei misurato anche in ragione di questo fatto che mi pare presumibile. La riflessione di Tronti nasce, secondo me, da quello che ho sottolineato anch’io, vale a dire che questa riduzione dei parlamentari, così come è stata pensata, formulata e spinta, soprattutto per opera dei 5 stelle, aveva al suo fondo un carattere populista visibile. E’ chiaro che se tu contrapponi democrazia diretta e democrazia parlamentare, se pensi che uno valga uno, e ci aggiungi il vincolo di mandato per l’eletto, è chiaro che sei su un versante che non è certamente il mio. Però, tengo a ricordarlo, il tema della riduzione dei parlamentari esiste anche nella discussione a sinistra, dalla Bicamerale di D’alema, fino alla proposta mi pare del 200 del gruppo Pd del Senato. Sono temi sul tappeto, e non ne farei una questione essenziale se non in chiave di una riduzione di rappresentatività che va corretta. E qui s’innesta una altro punto dirimente: se tu non hai una legge proporzionale e dovessi andare su una legge di tipo maggioritario, è chiaro che allora la riduzione del numero alza le soglie percentuali per entrare in Parlamento determinando uno sbarramento troppo forte, di tipo turco, al 10 12% che non corrisponde assolutamente al bisogno di una democrazia che deve garantire anche alle formazioni più piccole, o attraverso un diritto di tribuna o attraverso altre formulazioni elettorali, la possibilità di sedere in Parlamento. Qui siamo ancora nel campo delle cose che si possono fare. C’è una cosa che però non mi piace affatto…
Vale a dire?
La cosa che non mi piace è che il 95% del Parlamento il taglio dei parlamentari l’ha votato, ma oggi sembra che non l’abbia votato nessuno. In questa nostra conversazione non ho nascosto dubbi e non ho sorvolato sulle cose da fare per rafforzare la democrazia rappresentativa, e non solo quella parlamentare. Tuttavia continuo a essere più propenso per votare “Sì” perché voglio mantenere una coerenza rispetto a quello fatto qualche mese fa. Mi porto dietro le mie motivazioni, penso che vi sono vuoti che vanno colmati al più presto a garanzia di una democrazia realmente rappresentativa, a cominciare dalla riforma elettorale, e tuttavia devo dire che non mi piace neanche un po’ il Parlamento che vota in un modo e i partiti che poi il giorno dopo fanno esattamente il contrario. Il rapporto tra cittadini ed eletti qual è? Cosa deve pensare un cittadino di un partito che vota in un modo e sei mesi dopo fa l’esatto contrario?
Il che ci porta ad interrogarci su cosa sono diventati oggi i partiti politici.
Parliamo sempre di istituzioni di rango costituzionale, e ci scordiamo che anche i partiti in fondo sono una istituzione democratica prevista dalla nostra Costituzione. Se non ci sono veri partiti, soprattutto se la vita interna dei partiti non è una vita democratica, puoi avere la migliore Costituzione del mondo, ma siccome la politica è imperniata sulle forze politiche è evidente che ad una antidemocraticità delle formazioni politiche poi non può corrispondere un Parlamento pienamente democratico. C’è qualcosa che non torna. Di certo non possiamo andare avanti in questo modo.
Ma il problema della rappresentanza e della sua crisi, non investe solo i partiti ma anche i corpi intermedi, come il sindacato.
Non c’è dubbio che sia così. Io ricordo qui la lezione di Bruno che ritengo quanto mai attuale e insuperata. Non c’è solo una crisi della rappresentanza politica, c’è anche una crisi di rappresentanza dei corpi intermedi. Noi pensiamo sempre al sindacato, ma vogliamo parlare di Confindustria? Vogliamo parlare delle rappresentanze degli enti territoriali? C’è una difficoltà a organizzare una rappresentanza democratica. Questo è il punto vero. La vera discussione “epocale” non è quella sul numero dei parlamentari, la vera discussione epocale è se la situazione della rappresentanza, politica e sociale, può andare avanti così. Quando, ad esempio, Trentin proponeva una riforma anche legislativa della democrazia dei corpi della rappresentanza sociale e civile, poneva un problema giusto. E’ da questo vulnus che bisognerebbe partire, avendo consapevolezza e coscienza che lì sta il cuore del problema.