Gentiloni dia un segnale e cambi subito il Jobs Act

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Intervista su La Repubblica di Giovanna Casadio del 15 dicembre 2016

«Altro che congelare i referendum sindacali! Il Pd affronti le questioni e il nuovo governo cambi il Jobs Act. Poletti ha fatto una dichiarazione insensata».

Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil, è stato alla guida del Pd dopo Bersani e prima di Renzi.
Se l’11 gennaio la Consulta darà il via libera ai quesiti, annuncia che voterà a favore. Epifani, meglio votare in fretta che così si evitano i referendum voluti dalla Cgil su Jobs act, voucher e appalti, come dice il ministro del Lavoro, Poletti?

«Poletti ha fatto una dichiarazione che non ha molto senso. Per tre motivi. Il primo: mentre il premier Gentiloni giustamente e correttamente alla Camera e al Senato, e secondo la Costituzione, non ha posto un limite di tempo al governo, un ministro lo stesso giorno in cui riceve anch’egli la fiducia, dichiara quanto durerà il governo. Il secondo punto è che come dimostra l’alto numero di elettori per il referendum sulle riforme costituzionali c’è nel paese una richiesta di partecipazione molto forte. Dietro quei referendum promossi dalla Cgil ci sono milioni di firme di lavoratori, ai quali non si può rispondere in quel modo. In terzo luogo, perché il ministro del Lavoro dovrebbe misurarsi col merito dei quesiti referendari».

Insomma non congelare, ma ascoltare.

«In ogni caso i quesiti stanno sul tavolo».

C’è il rischio di un bis? Che il governo Gentiloni salti sulla bomba a orologeria dei nuovi referendum?

«Non c’è un rapporto in questo caso. Nessuno poteva immaginare quale sarebbe stata la situazione politico-parlamentare quando sono stati presentati. A me preme sottolineare che il Pd, un partito progressista e democratico, vuole mantenere un rapporto forte con il mondo del lavoro e i diritti dei lavoratori, ha il dovere di vedere se nell’esperienza di questi anni, sui singoli aspetti, non ci siano dei cambiamenti da proporre».

Insomma il nuovo governo dovrebbe intervenire prima che si vada a referendum, smantellando l’altra riforma di Renzi, il Jobs Act.

«Non si tratta di smantellare niente, ma di verificare se l’esperienza e i fatti ci dicono se ci sono dei problemi e in questo caso affrontarli. Ad esempio sui voucher noi assistiamo a una proliferazione impressionante, tanto che il governo era intervenuto per rendere tracciabile e più trasparente l’utilizzo dei voucher. Penso alle situazioni di lavoro stagionale nel turismo, nel commercio, in agricoltura. I voucher non hanno sostituito tanto i lavori in nero ma hanno sostituito veri e propri contratti di lavoro a tempo determinato, che consentivano comunque ai lavoratori di avere maggiore tutela».

Gli altri temi da affrontare?

«Il codice degli appalti. L’articolo 18, almeno nella parte dei licenziamenti disciplinari».

Se si cambia, si sminano i referendum?

«Non so se sarà sufficiente a evitare i referendum, ma sia per il Pd che per il governo è un dovere stare a sentire i lavoratori aprendo un confronto con i sindacati».

Come voterebbe?

«Se la Consulta dà il via libera, io voterò a favore di tutti e tre i referendum».

II Pd è lacerato anche su questo?

«Su una parte è più facile trovare un accordo tra di noi. Mentre sul Jobs act e l’articolo 18 mi rendo conto ci saranno problemi».

Vita difficile, da separati in casa della sinistra dem nel Pd?

«Avendo opinioni diverse su alcune cose, il problema è come se ne discute».

L’Assemblea dem di domenica sancirà un’altra spaccatura?

«Si tratta di capire come Renzi la imposta. È bene non dividere il Pd, non serve a nessuno».

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