Voti operai a Lega e M5S? È colpa del centrosinistra.

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Intervista di Renzo Mazzaro su Il Mattino di Padova 17 marzo 2018

Guglielmo Epifani è stato segretario generale della Cgil dal 2002 al 2010, poi segretario nazionale del Pd nel 2013 e oggi è deputato di Liberi e Uguali, un partito di generali senza esercito. Dal sindacato alla politica, dai problemi reali allo scollamento con il Paese.

Epifani, un risveglio amaro: cos’è successo? 

«Cominciamo col dire che l’influenza di gruppi economici, finanziari e sociali sul voto è diventata molto più labile di un tempo. Nel referendum costituzionale a favore del sì c’erano tutte le associazioni, Confindustria in testa, più la grande stampa, invece il voto dei cittadini è andato in direzione opposta. Quello che vale per le rappresentanze di interessi vale anche per le organizzazioni sindacali. Già negli anni 80 la Fiom spiegava che tra gli operai di Mirafiori il voto alla Lega era circa un terzo».

Adesso gli operai votano anche M5S oltre alla Lega.

«Non mi stupisce. Quando in Campania o in Sicilia un partito prende il 40% è chiaro che dentro ci sono tutti. Anche gli imprenditori, non solo i lavoratori. Siamo di fronte ad un fenomeno di cambiamento molto forte».

Ma tutto a spese della sinistra, a quanto pare.

«In gran parte proprio a spese della sinistra e del centrosinistra. Prendiamo i temi più sentiti dal mondo del lavoro: legge Fornero, Jobs Act e precariato, riforma della scuola, Mezzogiorno e aree di povertà. Il Pd ha difeso lo status quo e le leggi fatte, Leu aveva opinioni più corrette e diverse ma la sua voce è stata debole. A farsi paladino del superamento della Fornero è stata la Lega, del Jobs Act il Movimento 5 stelle. Chi si è occupato della povertà è stato di nuovo il M5S e penso che gran parte del mondo della scuola abbia votato per loro. Se la sinistra perde 2-3 milioni di voti, sono i tuoi che ti lasciano».

Dunque responsabilità esclusiva del centrosinistra?

«In gran parte sì. Se dici che la precarietà è battuta e invece aumenta, come afferma anche Mario Draghi, se dici che la buona scuola va bene e invece scontenta tutti, cosa ti puoi aspettare?».

E’ vero anche che fare opposizione largheggiando in promesse è più facile che governare.

«Questo è un dato oggettivo. Governare nei momenti di crisi non ha mai portato bene a nessuno, né in Italia né Europa».

Ma dentro la sinistra ci sono persone come lei, Cofferati, D’Antoni, Baretta, Santini, gente che viene dal sindacato e non ha perso i collegamenti. «Per stare alle pensioni, negli anni 90 anche io, Cofferati, Santini e gli altri facemmo degli interventi, mantenendo però la gradualità e l’equità. Con la riforma Fornero ci sono persone che hanno visto in un giorno aumentata la propria età di pensionamento di 6-7 anni: la gradualità avrebbe impedito la questione degli esodati. Naturalmente si è fatto anche qualcosa di buono, per esempio il reddito di inserimento da parte dell’ultimo governo. Ma non lo si è valorizzato».

Perché?

«E’ affidato alle Regioni ma comincerà a dare le prime risorse nei prossimi mesi. Gli effetti non sono ancora visibili».

Ammetterà che il centrosinistra è stato costretto a governare condizionato dal centrodestra, o no?

«Giusto, il risultato elettorale del 2013 non dava la maggioranza al Senato: si fece il governo di larghe intese, poi con la decadenza di Berlusconi Forza Italia tornò all’opposizione, ma il cammino ha avuto sempre quel limite».

Allora aveva ragione Renzi a dire che era meglio andare a votare prima? 

«Bisognava andare a votare nel 2011, dopo il fallimento del centrodestra: non avremmo avuto il governo Monti, la legge Fornero, forse neanche il boom dei M5S e il centrosinistra avrebbe avuto più tempo per fare meglio quello che è stato fatto male. Allora bisognava portare il Paese al voto, non dopo quando dice Renzi».

Vede possibile recuperare il rapporto perduto con gli elettori?

«Ci vuole umiltà e la volontà di farlo. Servirà tempo. Guardo il voto dei napoletani nella città operaia per eccellenza, Pomigliano, e nel quartiere più ricco di Napoli, il Vomero: M5s prende il 65% a Pomigliano e il 55% al Vomero, Pd e Leu prendono al Vomero il doppio dei voti di Pomigliano».

Risultati inversi. 

«La cosa più sorprendente è che una piccola formazione a sinistra di Leu, Potere al popolo, prende al Vomero il doppio dei voti di Pomigliano. Nella città operaia per eccellenza la sinistra non c’è praticamente più, conserva un peso nella zona più benestante di Napoli. Lo stesso accade a Roma o in altre periferie italiane. Vuol dire che si è perso radicamento e rappresentatività nelle parti più disagiate del Paese. Questa è la questione: riconnettere il centrosinistra e la sinistra con quella parte del Paese fa più fatica a uscire dalla crisi e che ha pagato i prezzi più alti».

Non sarà che la vecchia antitesi capitale-lavoro non serve più nel mondo globale? L’opposizione adesso è tra inclusione ed esclusione più che tra destra e sinistra.

«Qualcuno ha detto che è finito il Novecento. Non so se sono un uomo del Novecento, certo il voto del 4 marzo è a suo modo rivoluzionario. Io vedo il rischio che la sinistra perda non solo centralità ma identità. Ma se tu hai in mente una società inclusiva, ci deve essere anche una politica di maggior uguaglianza tra persone, generazioni e territori. E questo giustifica l’esistenza di destra e sinistra in qualsiasi paese del mondo».

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