Intervento a nome del gruppo di Liberi e Uguali,
sull’ Informativa urgente del Governo sullo stato dei tavoli di crisi
aperti presso il Ministero dello sviluppo economico.
Signor Ministro, il suo è stato un quadro – diciamo – onesto della
situazione, delle crisi produttive che al suo tavolo si sono riunite, anche
sulla base poi delle crisi che sono scoppiate negli anni precedenti e non
risolte.
Voglio subito dire rispetto alla sua esposizione due piccoli punti, che
però ho visto lei non ha affrontato. Il primo: una parte dei lavoratori di
quelle aziende in crisi non ha o non ha più ammortizzatori sociali. Questo
vuol dire che, come le avevo già detto in un’altra occasione qui alla
Camera, da parte del Governo ci sarebbe bisogno di rimettere mano a un
quadro un po’ più organico sulla disciplina degli ammortizzatori: troppe
differenze per tipologia d’azienda e troppe situazioni in cui un lavoratore
ha un regime e un altro lavoratore non ha sostanzialmente nulla.
La seconda cosa che le voglio dire, proprio ravvicinata rispetto anche al
decreto-legge “dignità”, che sulle delocalizzazioni, io capisco il
rapporto: prendo i soldi, delocalizzo, restituisco; voglio anche dirle che
ci sono moltissime aziende che non prendono soldi e delocalizzano. E da
quel punto di vista anche ieri sera i sindacati in audizione alla
Commissione lavoro hanno presentato proposte per venire incontro ad un
problema che altrimenti non può trovare soluzione.
Ma il punto chiave secondo me della questione sta nel rapporto tra le crisi
e la strategia di politica industriale che il Governo intende adottare. Qui
sta il punto! Quello che io chiedo a lei e al nuovo Governo è di avere
qualche orientamento di politica industriale efficace nelle condizioni
dell’Italia, dell’Europa e del mondo di oggi. Ho avuto modo di dire che se
il mondo va verso una politica di dazi e di chiusure, politica che non
conviene a un Paese come il nostro che è un Paese di trasformazione, è un
Paese di *export*, è evidente che implica da parte di una nuova azione di
Governo tener conto di questo nuovo quadro.
Noi abbiamo una quota di *export* molto forte, che si poggia su quattro
settori fondamentali: l’agroalimentare, la meccatronica, il farmaceutico e
il *made in Italy* in senso tradizionale. Queste aziende esportano non per
qualche dono divino, ma perché da anni hanno incorporato una politica degli
investimenti sul modello di quella tedesca, per cui il ciclo degli
investimenti è sostanzialmente di sei o sette anni; e investono sui
processi e investono sui prodotti. Se tu investi solo sui processi e non
investi mai sui prodotti, ti ritrovi poi a rappresentare l’altra parte
dell’industria italiana che è quella che oggi è in difficoltà.
Che cosa c’è da fare in una situazione in cui si riaprono le frontiere e le
spinte alla protezione? Alcune cose elementari. La prima: rafforzare
l’autonomia del nostro Paese per quanto riguarda l’approvvigionamento delle
materie prime. Acciaio, acciaio speciale, alluminio: si tratta di settori
fondamentali per la trasformazione manifatturiera. Questi nomi hanno delle
aziende: Ilva, Taranto, Genova, Novi Ligure; Alcoa, Terni, Piombino. Su
queste c’è bisogno di una politica di filiera, perché è fondamentale per
difendere la prospettiva della manifattura italiana.
Secondo. L’altro punto emergente di crisi (non se ne parla) e tutto il
settore dell’*automotive*. Noi siamo molto preoccupati quando FIAT-FCA
decide di spostare i modelli da una fabbrica all’altra, ma molto più grande
è l’effetto della filiera e della fornitura al settore dell’*automotive*,
che in Italia vale tre o quattro volte il reddito e l’occupazione degli
stabilimenti automobilistici. Per capirci, dalla Magneti Marelli alla
Brembo alla miriade di aziende che lavorano per l’industria
automobilistica, prevalentemente tedesca. Il passaggio dal motore
tradizionale alla trazione elettrica vuol dire passare da 200 componenti a
2: se la nostra filiera dell’*automotive* non va agli investimenti verso la
nuova trazione elettrica, noi corriamo il rischio di perderla completamente.
Infine le ultime due cose. La prima: Alitalia. Bisogna scegliere: se si sta
in un’alleanza internazionale si deve stare però tenendo conto degli
interessi nazionali. Se no ci sono le condizioni per andare da soli! In
Europa c’è un Paese, più piccolo del nostro, più indebitato del nostro, più
in difficoltà del nostro che ha una compagnia nazionale che peraltro fa
pure profitti. Però si sappia scegliere nell’interesse del Paese.
E infine industria 4.0. È stata un’ottima soluzione, molte imprese stanno
investendo, si stanno rinnovando, comprano da imprese italiane, è un
modello virtuoso; bisogna adesso sviluppare i centri di competenza e i
centri di innovazione tecnologica. C’è un piccolo problema: che industria
4.0 riguarda prevalentemente le medie e grandi imprese del Centro-Nord.
Questo vuol dire che sul Mezzogiorno, dal punto di vista della politica
industriale, occorre trovare strumenti che accompagnino quello che sta
avvenendo nel Centro-Nord con una politica industriale utile per il nostro
Mezzogiorno.